Dall’11 al 13 Maggio 2017 a Siracusa si è svolto il festival diffuso delle migrazioni mediterranee Sabir che ha rappresentato un importante luogo di incontro fra le realtà impegnate a vario titolo nel fenomeno migratorio e nelle sue fasi: dal salvataggio in mare, all’accoglienza fino alla documentazione dei flussi migratori da parte di giornalisti e fotoreporter.

Fra i promotori Arci e Caritas Italiana che mi ha invitata a rappresentare MOAS e a raccontare la nostra attività di ricerca e soccorso in mare che quest’anno compie il suo terzo anniversario. Nonostante le polemiche degli ultimi mesi, che si sono acuite ultimamente, e la diffusione di fake news, si è cercato di fare chiarezza su un fenomeno talmente complesso da non poter essere ridotto a slogan da campagna elettorale.

Insieme a me, nello stesso panel, c’erano Oliviero Forti (Caritas Italiana) che moderava la discussione, Daniela Pompei per la Comunità di Sant’Egidio, Filippo Miraglia per ARCI, Mauro Montalbetti per IPSIA, Riccardo Gatti per ProActiva OpenArms e Antonio Russo per Acli.

Persone diverse con esperienze e background professionali diversi, ma unite per la difesa dei diritti di chi fugge dal proprio paese cercando una pace che sembra impossibile.

La discussione è stata un momento di vero confronto, racconto e testimonianza che fa luce fra le troppe ombre sull’operato di chi salva vite in mare, in primis, ma di chiunque si impegni per alleviare la sofferenza di chi affronta le attuali migrazioni in condizioni sempre più disumane.

Il festival Sabir è stato importante per poter ricordare al pubblico e ai colleghi perché è nato il MOAS come risposta della mia famiglia per colmare il vuoto fra istituzioni politiche e società civile.

MOAS nasce, infatti, come reazione della società civile che si affianca alle istituzioni nella gestione di un fenomeno dalle proporzioni vastissime e come risposta agli appelli lanciati dall’allora Ministro degli Interni e dal Papa affinché tutti, secondo i propri mezzi, apportassero un contributo personale. Proprio per questo, i recenti attacchi e le accuse nei nostri confronti sono sembrati ancora più ingiustificati.

Come sottolineato da Filippo Miraglia nel suo intervento dovremmo chiederci come si possa pensare di non aiutare chi rischia di affondare. Come siamo arrivati a pensare che chi salva vite in mare debba vergognarsi, invece di essere aiutato e sostenuto?

E’ il vuoto istituzionale a non offrire nessuna soluzione alle persone che sono così costrette ad affidarsi a trafficanti senza scrupoli. Le ONG tentano di colmare quel vuoto, diminuendo il drammatico bilancio delle morti in mare.

Anche Riccardo Gatti ha raccontato la creazione di ProActiva OpenArms e la sua missione di salvare vite in mare, sottolineando come attualmente sia messa in discussione l’idea stessa di solidarietà che da azione meritoria è divenuta un crimine.

Le ONG in mare sono, infatti, occhi scomodi che documentano l’ecatombe in atto tramite le storie raccolte a bordo delle navi: i racconti dei sopravvissuti dipingono la Libia come un inferno, nemmeno lontanamente considerabile come un partner con cui stipulare accordi per arginare le migrazioni.

Warm-up kit donato da Caritas

A proposito dell’inferno libico, ho ricordato la storia di una donna giovanissima costretta a partorire senza alcuna assistenza medica in un campo di detenzione e tagliare da sola il cordone ombelicale che la legava alla sua neonata Grace. Questa testimonianza drammatica ci ricorda ancora una volta l’importanza di aprire vie legali e sicure al più presto.

Proprio di questo tema ha parlato Daniela Pompei, raccontando gli esordi dei corridoi umanitari avviati da Sant’Egidio anche in collaborazione con i nostri Ministeri degli Esteri e degli Interni. Con il primo protocollo d’intesa sono stati concessi 1000 visti a potenziali richiedenti asilo individuati secondo criteri precisi indicati dal diritto internazionale e con particolare attenzione per l’elemento della vulnerabilità. Il secondo protocollo coinvolge invece 500 fra eritrei, sudanesi e somali in partenza dall’Etiopia e anche in questo caso l’arrivo in Italia si accompagna a concrete politiche di integrazione e ricollocamento. Il modello italiano è stato da poco replicato in Francia e si sta negoziando in Spagna.

Questi percorsi non sono fatti contro lo stato, ma con esso per offrire una molteplicità di risposte legali e sicure ad un fenomeno che racchiude in sé varie dimensioni e in modo tale da garantire una doppia dimensione di sicurezza: per i migranti e per gli stati che accolgono.

Preziosi sono stati anche gli interventi dal pubblico: da padre Mussie Zerai fino al rappresentante della Caritas di Verona che ha colpito tutti con il suo invito a rispondere ai recenti scandali “scandalizzando con la solidarietà” fino ad un ex migrante, ormai italiano d’adozione, che ha ringraziato pubblicamente chiunque si impegni per proteggere la vita dei più deboli.

Uno speciale ringraziamento va a Caritas per il suo sostegno alle attività MOAS e per averci donato i warm-up kit (in foto) con cui riscaldare i migranti nella fase successiva al salvataggio e al trasferimento a bordo della Phoenix

Sono le occasioni come il festival Sabir a rinvigorire la speranza che un futuro migliore sia possibile grazie alla società civile che non si arrende agli abusi e alla violenza.

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