In pochissimi giorni, oltre 500.000 persone hanno espresso il loro sostegno al #ReferendumCittadinanza dimostrando che il cambiamento è possibile quando ci uniamo per una causa comune. Questo straordinario traguardo non è solo un numero: è la prova che il desiderio di una società più inclusiva e giusta è forte e condiviso.

Anch’io, sia personalmente che come direttrice del MAEC, ho aderito con convinzione a questa mobilitazione. L’Italia resta uno dei Paesi europei dove ottenere la cittadinanza è ancora estremamente complesso. Mentre gran parte dell’Europa prevede criteri temporali più brevi e forme di ius scholae, l’Italia, con la legge del 1992, richiede ben 10 anni di residenza per poterla richiedere. Inoltre, l’unica altra via è lo ius sanguinis, applicabile solo se almeno uno dei genitori è italiano.

Nelle scuole, nelle palestre, e persino nelle nostre squadre olimpiche, migliaia di ragazzi nati in Italia da genitori stranieri continuano a sentirsi “estranei” nel Paese in cui sono cresciuti. Anche se vivono come ogni altro giovane italiano, non sono riconosciuti come cittadini. Solo dopo i 18 anni, e a patto che abbiano vissuto in Italia in modo continuativo e legale, possono finalmente richiedere la cittadinanza. Questo sistema esclude molti giovani dai loro diritti fondamentali, non riconoscendo il loro contributo alla nostra società e alimentando discriminazione e marginalizzazione.

Concedere la cittadinanza significa riconoscere il valore di ciascuno e permettere a questi giovani di sentirsi parte integrante della comunità. Riconoscere i loro diritti aiuta anche a contrastare fenomeni come lo sfruttamento, l’illegalità, e l’esclusione sociale, promuovendo inclusione e sicurezza.

Questo referendum ha visto una grande partecipazione anche da parte dei cittadini italiani residenti all’estero, che spesso si sentono di “classe B” rispetto a chi vive in Italia. Anche loro chiedono una politica più inclusiva e giusta, in linea con i principi di uguaglianza.

Grazie alla partecipazione di tutti, il prossimo anno potremo esprimerci attraverso un quesito referendario che proporrà di ridurre da 10 a 5 gli anni di residenza necessari per chiedere la cittadinanza per sé e per i propri figli minorenni. Questa modifica si allinea agli standard di altri grandi Paesi europei e riflette quanto già previsto in Italia prima del 1992. Tutti gli altri requisiti, come la conoscenza della lingua italiana e il rispetto della legalità, rimarranno invariati. Chi vive, studia e contribuisce al nostro Paese non sarà più considerato un estraneo, riprendendo il concetto espresso dal Presidente Mattarella.

Io ho già dato il mio contributo. E tu? C’è tempo fino al 30 settembre per fare la differenza. Buona firma!