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Il 16 ottobre 2017 mi trovavo all’aeroporto di Doha, tornando da una missione a Cox’s Bazar, in Bangladesh, dopo oltre tre settimane trascorse a lavorare con i rifugiati Rohingya. Mentre passavo nella lounge, il volto di Daphne Caruana Galizia campeggiava sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Vedere la sua immagine ovunque mi trasmise una strana sensazione, come un presentimento. Ero curiosa di sapere perché fosse lì, ma allo stesso tempo, sentivo nello stomaco che non avrei voluto conoscere la risposta.
Quando lessi la notizia, fu come un colpo al cuore: Daphne era stata assassinata. A Malta, il paese in cui vivo da più di 16 anni, una giornalista, una madre, una voce coraggiosa per la verità, era stata brutalmente uccisa in pieno giorno. Anche se non sono maltese, Malta è diventata la mia casa, il luogo dove mi sono sempre sentita al sicuro. Ma da quel giorno, quella sensazione di sicurezza è scomparsa.
Daphne non era perfetta, e forse non tutti condividevano i suoi metodi. Ma nessuno può negare che quella brutale esecuzione l’abbia resa una martire, e che il messaggio inviato fosse chiaro: chi osa sfidare il potere rischia la vita. La sua morte non è stato solo un omicidio, ma un avvertimento per tutti coloro che cercano di far emergere la verità e denunciare la corruzione.
Da quel giorno, Malta non è più la stessa. L’atmosfera è cambiata, è più pesante. È come se quel crimine avesse spezzato qualcosa di fondamentale, come se ci avesse mostrato quanto siano fragili le nostre libertà. Prima di quel giorno, pensavo che qui fossimo al sicuro. Ora non più.
La morte di Daphne è stata più di un attacco contro di lei; è stata un attacco a tutti noi che crediamo nella giustizia, nella trasparenza e nella libertà di esprimerci senza paura. Ripenso ancora a quel momento a Doha, quando vidi il suo volto sui giornali. E penso a tutto ciò che abbiamo perso quel giorno: la sua vita, la sua voce e un pezzo dello spirito di Malta, il paese che mi ha accolto e che ho imparato ad amare.
Sette anni dopo, il dolore è ancora vivo, così come la determinazione a non lasciare che la sua morte resti impunita. Il suo omicidio voleva imporre il silenzio, ma ci ha costretti a confrontarci con verità scomode sul potere, la corruzione e sulla fragilità delle libertà che pensavamo fossero garantite.