“Quando fui salvato nel Mediteranno dall’Organizzazione non governativa MOAS in data 29 settembre 2014, il mio primo pensiero era sopravvivere fisicamente. All’incirca otto anni dopo, la mera sopravvivenza fisica ha lasciato posto a un ideale di vita, dare un mio modesto contributo per evitare a tante persone di vivere ciò che abbiamo attraversato lungo il cammino che ci ha portato ad essere oggi chiamati rifugiati o semplicemente migranti. Ecco perché ho scritto una tesi sul tema delle migrazioni. L’ho fatto per noi sopravvissuti della strage ancora in opera nel Mediterraneo e lungo i sentieri aridi e insicuri nel Sahara, per i caduti lungo il cammino e soprattutto per coloro che, direttamente o indirettamente possono contribuire a ridurre o fermare questo dramma. Qualcuno potrebbe rispondere a questo mio commento, facendomi notare che l’amore per il prossimo è una bella cosa, ma che esiste una legge della impenetrabilità dei corpi. Un modo elegante per ribadire il solito trito concetto che “la barca è piena”. In altre parole, che non c’è posto per i migranti, non importa se lo status giuridico internazionale li qualifica diversamente, come richiedenti asilo, o rifugiati. Questa osservazione, per quanto dolorosa, spesso anche a chi la esprime, non è segno di realismo, o di realpolitik. È segno di miopia geopolitica, sociale ed economica.”
Queste sono le parole con cui si conclude la tesi di laurea specialistica in Relazioni internazionali e studi europei discussa da Afana la scorsa settimana presso l’Università degli Studi di Bari. Afana è un giovane camerunense che si è trovato ad affrontare una delle più pericolose rotte migratorie del mondo, quella del Mediterraneo dalla Libia all’Italia, rischiando di perdere la propria vita. Le nostre esistenze si sono incrociate quando l’equipaggio MOAS, in quel periodo attivo nel Mediterraneo, ha effettuato il salvataggio delle persone che si trovavano sul gommone sul quale viaggiava anche lui.
La sua laurea, dopo il titolo triennale conseguito due anni fa, ci inorgoglisce riempendoci di gioia e ci mostra una storia di impegno e realizzazione personale, una luce che tiene accesa la speranza per tutti coloro i quali smettono di credere nei propri sogni.
Ma anche la consapevolezza che tutto sarebbe potuto andare diversamente se nei pressi del gommone non ci fosse stato nessuno a salvargli la vita. E l’amarezza per chi invece in questi anni e ancora oggi non ce l’ha fatta, persone di cui non conosceremo mai la storia perché non hanno avuto la possibilità di cambiare Paese alla ricerca di una speranza attraverso #VieSicureELegali. L’assenza dell’implementazione di misure come il ricongiungimento familiare, la sponsorship, i visti di lavoro e studio agevolati, i corridoi umanitari e tanti altri strumenti ancora, non ha lasciato altra scelta se non quella di affidarsi ai trafficanti d’uomini.
Eppure negli ultimi due mesi, l’Europa ci ha mostrato come, in barba agli accordi di Dublino e ai precedenti atteggiamenti nei confronti del fenomeno migratorio, sia possibile unirsi e accogliere le persone ucraine che scappano dalla guerra. Verrebbe da chiedersi come mai con numeri così importanti nessuno abbia utilizzato la retorica della crisi migratoria e dell’invasione invocata quando le persone migranti che fuggono dai conflitti e dalle violenze arrivano dal continente africano, dalla Siria, dallo Yemen o dall’Afghanistan.
Oggi Afana, nonostante tutte le difficoltà, realizza uno dei suoi sogni e mette davanti agli occhi di tutti la bellezza dell’integrazione in Italia e l’importante contributo che potrà dare a un Paese che, seppur non perfetto, lo ha accolto e gli ha dato tanto. Così come tutti colori i quali, una volta arrivati, hanno avviato un percorso di crescita e contribuiscono alla società e all’economia del Paese. Afana, dopo aver concluso il suo percorso accademico ed aver contribuito alla fondazione dell’Associazione studenti stranieri dell’Università Aldo Moro e di Radio Libertà, si appresta ad aprire un bar-ristorante di cucina africana insieme ad altri giovani e sogna di raggiungere il prossimo obiettivo: un dottorato di ricerca.
La foto con cui Afana ha deciso di celebrare questo importante traguardo lo ritrae mentre pone sulla testa del piccolo figlioletto la corona d’alloro e tra le mani la tesi rilegata e diventa così un importante simbolo di speranza per tutti coloro i quali desiderano realizzare i propri sogni, anche lontano dal luogo in cui vivono, senza mettere a repentaglio la vita e per tutti noi che crediamo in questi valori e vorremmo sentire parlare più spesso di storie di migrazione a lieto fine.
Le mie più sentite congratulazioni al Dr. Afana Bella Dieudonne.