Il 12 Giugno a Cosenza è stato proiettato “Fishers of Men“, il documentario MOAS all’interno del progetto Cinema Ambulante.

In quell’occasione una spettatrice, fra le centinaia di volti ripresi nel documentario stesso, ne riconosce uno di una donna eritrea che aveva incontrato tempo prima.

Sara decide quindi di scrivermi per farmi sapere che, fra i tanti sconosciuti che scorrevano sullo schermo, lei ha ritrovato una persona con cui aveva trascorso del tempo, cercando di aiutarla nelle fase iniziale del suo arrivo in Italia.

Resan, così si chiama la donna eritrea di cui conosciamo solo pochi dettagli, era stata tratta in salvo durante una missione SAR del MOAS e in seguito era stata trasferita ad Amantea, in Calabria.

Proprio qui Sara la incontra durante un corso di ceramica. Nei pochi incontri che seguono Resan confida di aver studiato Belle Arti e, non solo dimostra di non aver bisogno di imparare le tecniche di lavorazione della ceramica, ma addirittura è lei a insegnare agli altri corsiti. Grazie alla sua esperienza, riesce a dare consigli, svelare trucchi e far appassionare i partecipanti all’attività di lavorazione della ceramica.

Nel suo paese era costretta a svolgere la leva obbligatoria: una piaga che affligge il popolo eritreo costringendolo a rimanere di fatto schiavo di un governo dispotico. Proprio delle catastrofiche conseguenze di questo fenomeno anche sulla situazione economica avevamo già parlato qui e, come migliaia di altri Eritrei, un giorno anche Resan ha capito che non poteva più rimanere.

Così è iniziato il suo viaggio di speranza alla ricerca della pace e della felicità

Purtroppo, da un giorno all’altro Resan va via senza lasciare sue tracce. Aveva raccontato a Sara di avere dei parenti in Olanda e di volersi ricongiungere con loro. Da allora nessuna notizia sul suo destino.

Sappiamo solo che desiderava continuare gli studi in Belle Arti e iniziare al più presto la sua nuova vita al riparo dalla violenza. Magari dedicandosi proprio all’arte o alla lavorazione della ceramica che tanto l’appassionano.

Persone come Resan in fuga da governi dispotici e situazioni di persecuzione o povertà estrema non dovrebbero essere costrette a salire su imbarcazioni pericolanti e stracolme all’inverosimile. Non dovrebbero essere costrette a rischiare la vita per metterla in salvo, né dovrebbero affidarsi ai trafficanti per vedere riconosciuto il diritto ad una vita in pace.

Proprio per questo da quasi un anno MOAS insieme all’UNHCR lavora incessantemente alla creazione di vie legali e sicure che insieme a efficaci politiche di integrazione e reinsediamento eviterebbero molte delle problematiche che emergono dalla continua gestione emergenziale degli attuali flussi migratori.

Forse se Resan fosse arrivata con un corridoio umanitario e avesse avuto davanti a sé un percorso certo sia per ricongiungersi ai suoi parenti che per iniziare la tanto attesa nuova vita, adesso non ne avremmo perso le tracce. Magari sarebbe proprio stata lei accanto a Sara a scorgere se stessa fra le immagini dei salvataggi, provando un enorme sollievo finalmente al sicuro.

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On June 12th in Cosenza the MOAS documentary, “Fishers of Men“, was screened as part of a project called Cinema Ambulante.

On that occasion, among hundreds of faces, a woman in the audience recognizes an Eritrean woman she had previously met.

Sara decides to inform me that among unknown faces on the screen she saw someone she knew because they spent some time together soon after her arrival in Italy.

Resan comes from Eritrea and we know very little about her. She was rescued during a MOAS SAR mission and soon after she was transferred to Amantea, in Calabria.

In this small town Resan meets Sara while attending ceramics lessons and on few occasions she confides to her that she had studied Fine Art in Eritrea. Not only she does not need to learn how to work with ceramics, but she is actually able to teach. Thanks to her experience she can give suggestions and tips to all participants in working with ceramics.

In her country she was forcibly conscripted into the army, a plague affecting Eritreans who are ostensibly turned into slaves by a despotic government. Here we have already explored the catastrophic consequences of this phenomenon from an economic point of view and one day Resan realized it was impossible to remain in her homeland any longer, like thousands of Eritreans.

So, her journey of hope began in search of peace and joy.

Unfortunately, Resan suddenly disappeared, leaving no trace. She had told Sara about some relatives in Holland and her intention to reunite with them. Since then nobody has heard anything about her.

All we know is that we wished to keep on studying Fine Art and start her new life far from violence as soon as possible, maybe devoting her time to her passions: art and ceramics.

People like Resan who are fleeing despotic governments and persecutions or extreme poverty should not be forced to board unseaworthy and overcrowded vessels. They should not be forced to risk their lives to seek refuge, nor put their fate into smugglers’ hands to enjoy their own right to live in peace.

That is the reason why MOAS has been actively working for almost one year with UNHCR on the opening of safe and legal routes. Together with efficient resettlement and relocation policies they would avoid many problems arising from the current emergency approach to migration flows.

Maybe if Resan had arrived with a humanitarian corridor and the chance to reunite with her relatives as well as to start her new life, now we would not have lost trace of her. Maybe she would have been sitting next to Sara, spotting herself on the screen during rescue operations and feeling relieved to be finally safe.