“La città di Palermo è fatta da tante tessere preziose che insieme compongono il suo grande mosaico. Ogni volta che ne incontriamo una ci teniamo a onorarla con questo riconoscimento”.
Termina così l’incontro col Sindaco di Palermo Leoluca Orlando avvenuto il 26 marzo presso il palazzo delle Aquile nel salone di rappresentanza dove ho ricevuto questa onorificenza per me e mio marito Christopher in virtù del nostro impegno a salvare vite umane dando vita al MOAS (Migrant Offshore Aid Station).
Davanti a noi, accomunati dalla fede cattolica, un preziosissimo Corano di circa 200 anni che ci offre lo spunto per parlare delle molte sfide che oggi presenta la migrazione. Palermo è considerata ovunque città simbolo di multiculturalismo, accoglienza, integrazione e crogiolo indiscusso di civiltà che qui si sono sovrapposte da sempre, alimentandone l’anima eclettica e in costante mutamento.
È come ritrovare un caro amico con cui scambiarsi idee, esperienze e punti di vista. Sembra che ci conosciamo da sempre mentre ci raccontiamo le sfide affrontate nel tentativo di preservare il volto umano di un fenomeno che, pur essendo tipico del genere umano, oggi è causa di indicibili sofferenze per un numero altissimo quanto imprecisato di esseri umani.
Per me calabrese, per lui sindaco di una città eternamente affacciata sul mare è impossibile concepire la vita senza la migrazione: siamo culturalmente abituati a veder arrivare gente nuova, tanto quanto conosciamo la nostalgia di chi è costretto a lasciare la propria terra in cerca di fortuna.
Siamo entrambi convinti che pensare di poter fermare la migrazione sia un’ingenua, ma pericolosa, illusione.
Gli esseri umani si spostano, i popoli migrano, le frontiere invece rimangono statiche dopo essere state decise a tavolino. Ma non sono neutrali, non sono linee immaginarie. Tutt’altro: le frontiere oggi uccidono nel tentativo anacronistico di preservare quello che il sindaco Orlando chiama “lo spazio chiuso del mondo di prima” che oggi abbiamo superato grazie a “Google e Ahmed, inteso come il migrante che arriva ai nostri porti. Sono loro ad averci fatto superare l’idea di stato come spazio chiuso e ad aver mandato in soffitta le identità di sangue”.
È confortante sentir parlare di Mediterraneo come “continente liquido” che deve fare da ponte, non da cimitero, ai molti disperati che mossi da motivazioni diverse si mettono in viaggio sperando nella pace, in un futuro migliore, in una istruzione o un lavoro dignitosi. In un’epoca storica segnata dal preoccupante ritorno di ideologie razziste, xenofobe e violente che dividono gli esseri umani in base al colore della pelle, alla provenienza o al credo religioso, Palermo col suo sindaco da sempre impegnato per promuovere integrazione e multiculturalismo dà grande speranza. “Questa città tiene insieme ciò che solitamente fuori è diviso”, mi spiega parlando delle varie comunità religiose presenti che hanno trovato nella sua persona una figura di riferimento e nella sua mediazione un collante che spinge ciascuna di esse a fare il meglio per il bene comune della città.
“Se mi chiedono quanti migranti ci sono a Palermo, io rispondo: nessuno! Se vivi a Palermo sei palermitano”, mi racconta fiero mentre discutiamo delle principali attività portate avanti da lui come sindaco e dalle associazioni presenti sul territorio. “Noi sindaci abbiamo il dovere di dare l’esempio”, come tutti i cittadini d’altronde rispondo io. La società civile, infatti, intesa come cittadinanza attiva e responsabile ha il diritto/dovere di affiancare le autorità nelle loro attività, contribuendo con la propria creatività e le proprie risorse: proprio così è nato MOAS quando con la mia famiglia abbiamo deciso di affiancare la missione Mare Nostrum che nel 2014 era l’unica impegnata a salvare vite umane in mare. Grazie a quella sinergia positiva MOAS nel tempo è diventata una ONG internazionale in prima linea per difendere i diritti delle comunità di migranti più vulnerabili al mondo e in tre anni di missioni in mare abbiamo salvato ed assistito oltre 40mila bambini, donne e uomini prima di spostarci in Bangladesh dove portiamo assistenza medico-sanitaria e aiuti umanitari ai rifugiati Rohingya e alle comunità locali che li ospitano. Proprio in Bangladesh adesso stiamo lavorando senza sosta per essere pronti al ciclone in arrivo e alla seguente stagione monsonica che si prospetta particolarmente mortale vista l’ondata di arrivi dal Myanmar a partire dallo scorso 25 agosto.
Prima di andar via, ci ripromettiamo di impegnarci a dar seguito a questo primo incontro e di continuare a lavorare per far sì che un giorno non ci siano più rifugiati, profughi, richiedenti asilo, migranti economici, ma solo ed esclusivamente esseri umani in grado di convivere pacificamente nel rispetto di ciò che divide, valorizzando ciò che unisce.