Il 27 marzo sono stata invitata presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Palermo per un seminario dal titolo “ONG e questioni migratorie. L’esperienza del MOAS” durante cui sono stata affiancata da Valentina Chinnici, consigliere comunale della giunta di Palermo eletta lo scorso agosto, e Lucia Martines, dottoranda di ricerca in Scienze Politiche dell’università degli studi di Genova che è anche caporedattrice della rivista Mediterranean Society Sights cui ho avuto il piacere di contribuire recentemente.

Dopo l’introduzione del Prof. Giorgio Scichilone che ha fortemente voluto questo incontro e ha ribadito l’importanza di seminari come questo per fornire agli studenti una visione più diretta dei fenomeni migratori che sono troppo spesso oggetto di stereotipi e luoghi comuni. Benché spostarsi sia un tratto tipico dell’umanità che si sposta da sempre per motivi diversi, oggi la migrazione forzata è diventata una tragedia per moltissime persone che non solo sono costrette  a lasciarsi tutto alle spalle fuggendo nella paura, ma rischiano anche di morire in mano a trafficanti senza scrupoli.

Valentina Chinnici ha raccontato la sua personale esperienza come insegnate di una classe multietnica in cui, ad esempio, se si chiede a un bambino nato da madre tunisina e padre marocchino a quale dei due paesi si senta emotivamente più vicino, risponde di essere palermitano a tutti gli effetti. È evidente che i bambini comprendano la realtà in cui vivono molto più degli adulti e con maggior immediatezza dei politici ad ogni livello che invece rimangono ancorati a vecchi modelli statali. Come sottolineato da Valentina, è necessario rivedere il concetto stesso di sovranità statale e l’odiosa contrapposizione fra razzismo e buonismo. La cittadinanza, come l’abbiamo intesa fino ad oggi, sembra infatti una sorta di retaggio feudale da cui dipende la totale esclusione dalla sfera dei diritti. Questo concetto mi ha subito fatto ripensare a Bauman che denunciava come con la migrazione le persone escano “dalla sfera dell’umanità collegata al godimento di certi diritti e diventino persone che hanno perduto la propria patria e la prospettiva di averne una nuova che li accolga: dalla sfera dei diritti umani vengono rimandati a quella delle questioni di sicurezza nazionale”.

Concluso l’intervento di Valentina, Lucia Martines introduce genesi e finalità delle ONG per come vengono inquadrate dal Diritto Internazionale e spiega il ruolo fondamentale che hanno ricoperto e continuano a ricoprire nella gestione degli attuali flussi migratori. La loro missione fondamentale, infatti, riguarda non solo salvare vite umane, ma anche restituire una dimensione umana a una questione affrontata principalmente con numeri e statistiche che dimenticano le persone al centro stesso della migrazione.

Questo seminario mi offre l’occasione di raccontare come è nata MOAS nel tentativo da parte della mia famiglia di non arrendersi alle morti in mare: quest’idea pionieristica, elaborata in testa, ci ha poi toccati nel profondo del cuore spingendoci ad attingere alle nostre risorse personali per cercare una soluzione e non cedere all’indifferenza. Dopo aver illustrato significato e sfide delle missioni SAR, ho spiegato come mai abbiamo deciso di sospendere le operazioni in mare a fronte di un mutato scenario nel Mediterraneo dove sicurezza e diritti delle persone vengono subordinati all’obiettivo primario di riduzione degli sbarchi. Ho raccontato le nostre motivazioni e introdotto la nostra missione in sud-est asiatico a sostegno della martoriata comunità Rohingya e dei bengalesi che ospitano i sopravvissuti alle persecuzioni in Myanmar. Dal 25 agosto, infatti, nel silenzio quasi assoluto della comunità internazionale è scoppiata una nuova ondata di violenze che ha scatenato un esodo forzato verso il Bangladesh: da allora secondo gli ultimi dati, sono arrivate almeno 671mila persone in urgente bisogno di assistenza medico-sanitaria, fra cui la maggior parte sono donne e bambini. Chi giunge in Bangladesh lo fa dopo essere sopravvissuto a orribili persecuzioni, violenze sessuali e discriminazioni che segnano profondamente il corpo e l’anima di queste persone.

Inoltre, a conferma del fatto che la migrazione non può essere affrontata seguendo un criterio di prossimità, ho ricordato il numero di arrivi dal Bangladesh durante il 2017: circa 9mila persone sono giunte via mare nel nostro paese dal Bangladesh a dimostrazione che “aiutarli a casa loro” significherebbe davvero intervenire sulle cause che costringono le persone a lasciare il proprio paese. Pensiamo, infatti, all’impatto che il nuovo esodo Rohingya ha su un paese a reddito medio-basso come il Bangladesh e alle conseguenze che questo potrebbe avere in termini di ulteriore impoverimento che spingerebbe altre persone a intraprendere il viaggio verso l’Europa. Per questo con MOAS ci stiamo preparando al meglio ad affrontare l’imminente ciclone e la seguente stagione monsonica per limitare i danni che da essi deriveranno, garantendo indispensabili cure mediche ed assitenza sanitaria.

Sono state molte le domande per conoscere meglio questa minoranza perseguitata e comprendere perché abbiamo deciso di aiutare proprio i Rohingya, chiedendo cosa succeda dopo l’arrivo di queste persone e come si possa aiutare. Alla luce dello spiccato interesse dimostrato da docenti e studenti, abbiamo quindi deciso di mettere a disposizione alcuni articoli pubblicati precedentemente e i report di Xchange per incentivare il desiderio di conoscenza su questa crisi quasi dimenticata. Mi auguro, infine, che questo seminario sia l’inizio di una collaborazione più ampia con l’Università di Palermo (e con la città in generale) per far conoscere la migrazione tramite le storie di chi la vive in prima persona e per portare una testimonianza positiva di società civile che non si arrende alla spersonalizzante narrazione del fenomeno migratorio come somma di numeri e statistiche.