Il periodo estivo è sempre quello in cui si assiste a un maggior numero di salvataggi in mare e sbarchi, anche se di fatto dal 2014 ad oggi la stagione migratoria non si è praticamente mai fermata. Nonostante ciò, si continua a gestire tutto con una logica emergenziale e aumenta il livello di indifferenza sia verso le morti in mare sia verso gli abusi compiuti ai danni di chi sbarca in Europa.

Benché la migrazione non sia un fenomeno nuovo, visto che le persone si sono sempre spostate o perché in fuga da situazioni di conflitto e violenza generalizzata o perché alla ricerca di migliori condizioni di vita, sono mutate le proporzioni e sta aumentando l’indifferenza per le morti in mare e gli abusi sofferti da chi arriva in Europa.

Dallo scorso Dicembre a oggi soffia un vento ostile per nulla solidale con l’Italia e i principi sui quali l’Europa è fondata, fra cui solidarietà e reciproco sostegno fra Stati Membri. La narrativa attuale fa diventare le persone migranti degli untori, pericoli per la sicurezza e, invece di preoccuparci del benessere di chi affronta viaggi terribili, ci concentriamo solo sulla sicurezza dei nostri confini nazionali. In un mondo globalizzato dove con la tecnologia e i social network sono stati abbattuti i confini geografici e si può viaggiare da un estremo all’altro del pianeta, le persone che affrontano i viaggi della morte sembrano perdere ogni diritto o protezione appena abbandonano il loro paese dove non possono più rimanere.

La migrazione, quindi, sembra far perdere tutto: non solo si abbandona la propria vita e il proprio paese senza nessuna certezza di poterci ritornare, ma si viene catapultati in un limbo senza fine che li espone a ulteriori violenze e discriminazioni. Come affermato dal sociologo e filosofo polacco Bauman, i rifugiati escono dalla sfera dell’umanità collegata al godimento di certi diritti e diventano persone che hanno perduto la propria patria e la prospettiva di averne una nuova che li accolga: dalla sfera dei diritti umani vengono rimandati a quella delle questioni di sicurezza nazionale.

Perduta la loro vecchia patria ormai distrutta dalle bombe, si ritrovano in una zona grigia dove nessuno li identifica più come portatori di diritti inalienabili, bensì come minacce per la stabilità di chi è momentaneamente al sicuro. Invece di comprendere la situazione di pericolo da cui fuggono, sono essi stessi considerati un pericolo.

Così facendo però il problema è ben lontano dall’avere una soluzione.

A peggiorare la situazione c’è l’inazione della politica ad ogni livello: si finge di non aver nulla a che fare con le cause scatenanti le attuali migrazioni, si trascura la necessità di costruire una nuova comunità globale all’insegna dei diritti (e non degli abusi) e si ignorano volutamente gli strumenti offerti dal diritto internazionale e europeo.

Dato che la crisi migratoria viene percepita come un’emergenza, più  volte con MOAS abbiamo chiesto l’apertura di canali umanitari, previsti dal diritto internazionale, e il potenziamento delle politiche di ricollocamento che permetterebbero di distribuire in modo razionale le persone in arrivo sul territorio europeo. E condividiamo la linea di pensiero umanitario che chiede di ricorrere alla Direttiva 2011/55/CE del Consiglio la quale prevede la possibilità di rilasciare visti per la protezione internazionale se i “casi di afflusso massiccio di sfollati che non possono ritornare nel loro paese d’origine hanno assunto proporzioni più gravi negli ultimi anni in Europa. In tali casi può essere necessario istituire un dispositivo eccezionale che garantisca una tutela immediata e transitoria a tali persone”. La stessa direttiva, inoltre, all’articolo 25, Capitolo VI, dispone che: “Gli Stati Membri accolgono con spirito di solidarietà comunitaria le persone ammissibili alla protezione temporanea”.

Duole quindi ammettere che a mancare non sono gli strumenti pratici e giuridici per accogliere degnamente le persone in fuga, ma la reale volontà di farlo e di uscire dall’attuale approccio caotico ed emergenziale che lede la dignità e i diritti di chi invece andrebbe protetto.

Questo articolo è stato pubblicato da Thomson Reuters Foundation

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