Seminario nazionale su un’Europa “no exit” organizzato da Caritas Italia a Roma

14-15 Novembre 2016

Oltre la ricerca e il salvataggio in mare

Il seminario nazionale organizzato da Caritas Italia a Roma ha fatto seguito al Giubileo dei senza dimora inaugurato proprio il 14 Novembre da Papa Francesco e ha rappresentato una importante occasione di confronto che ha coinvolto oltre 200 partecipanti.

In qualità di co-fondatrice/direttrice di MOAS, sono stata invitata a condividere la mia esperienza sul delicato e controverso tema delle migrazioni. MOAS dal suo esordio ha salvato migliaia di vite umane con le sue operazioni di soccorso in mare.

Nel raccontare la genesi di MOAS -sia teorica che operativa- ho colto l’occasione per lanciare un forte messaggio di impegno in una direzione quanto mai necessaria: l’apertura di corridoi umanitari volti ad offrire alternative legali ai viaggi della morte alle persone idonee alla protezione internazionale.

Quando due anni fa mio marito Christopher ed io abbiamo deciso di mettere in pratica l’appello del Santo Padre a fare la nostra parte per ridurre il tragico numero di decessi nel Mar Mediterraneo, eravamo perfettamente consapevoli di non possedere la soluzione alla crisi migratoria attualmente in corso. Nell’ascoltare l’appello di Papa Francesco a NONglobalizzare l’indifferenza” abbiamo sentito la necessità di non voltare lo sguardo altrove mentre i nostri fratelli e le nostre sorelle morivano in mare.

Dovevamo agire.

Avevamo le competenze, le risorse e il coraggio per fondare MOAS. Nel 2014 grazie al nostro business di famiglia, Tangiers Group, abbiamo acquistato la prima imbarcazione che abbiamo fatto riadattare per la sua nuova missione di salvare vite in mare.

L’impegno di MOAS è cresciuto in questi due anni. Attualmente MOAS ha ampliato la flotta noleggiando due imbarcazioni –Phoenix e Responder– e da giugno 2016 cooperiamo con la Croce Rossa che garantisce le prime cure mediche post-soccorso. L’impatto delle operazioni di ricerca e salvataggio è enorme: ad oggi abbiamo salvato circa 30 mila persone.

30 mila vite umane che, strappate alle onde di un mare che divide ed unisce, sono state portate in salvo.

Tuttavia, nonostante il nostro impegno quotidiano e quello di molti altri che hanno seguito il nostro esempio avviando simili progetti di ricerca e soccorso in mare, il Mediterraneo continua a inghiottire molte vite, della cui perdita ognuno di noi è responsabile. Nonostante l’instancabile pattugliamento in zona SAR, in mare si continua a morire e soprattutto si continua ad alimentare il business della morte.

I trafficanti, consapevoli della mancanza di alternative legali, alzano la posta in gioco e i racconti di chi attraversa il mare cercando la salvezza sono una escalation di orrori e violazioni dei diritti umani.

La Libia, crocevia da cui transitano migranti di varie provenienze, viene descritta come un enorme centro di detenzione dove si compiono abusi nell’assordante silenzio internazionale. Le esperienze che raccogliamo sulle nostre navi parlando con le persone salvate raccontano di torture, violenze, stupri e intollerabili abusi.

E’ chiaro a tutti che la vera soluzione al problema richiede interventi in loco che ristabiliscano lo stato di diritto e condizioni di vita accettabili nei paesi di origine. Ma non possiamo attendere fino ad allora perché è in gioco la vita di persone vulnerabili ed indifese a cui il diritto umanitario internazionale garantisce delle tutele. Pertanto, è nostro compito far sì che quelle tutele non rimangano lettera morta ma si traducano in realtà legali effettive.

L’apertura di corridoi umanitari -supportati da programmi di sponsorship- inaugura vie legali per il controllo e la gestione dei flussi migratori. Da un lato inizierebbe un processo di smantellamento delle reti criminali consolidate negli anni da trafficanti senza scrupoli, dall’altro tradurrebbe nella pratica le garanzie contemplate nel diritto umanitario internazionale.

Quest’ultimo infatti trova la sua origine nella “necessità di assicurare anche in situazioni di conflitto armato, il rispetto e la sopravvivenza di quei diritti fondamentali della persona che sono alla base della coscienza giuridica della comunità internazionale”.

Secondo l’OIM, solo quest’anno fino al 30 Ottobre 2016 sarebbero 3.940 le persone morte o scomparse tentando la traversata nel Mediterraneo: 3.940 vite interrotte di cui non sapremo nulla, di cui non rimane nemmeno una tomba a cui portare un fiore. E anche questa cifra è una mera approssimazione perché di fatto non conosceremo mai l’effettiva portata di questa catastrofe. Le cifre ufficiali infatti non contemplano chi perde la vita nel deserto, nei centri di detenzione in Libia o non arriva nemmeno a intraprendere la traversata in mare.

Questo è il momento giusto per creare alternative legali e sicure ai viaggi della morte tramite uno specifico programma di visti umanitari che colmerebbe un vuoto esistente nella politica europea di asilo e avrebbe le seguenti caratteristiche:

individuazione di gruppi “vulnerabili” cui garantire accesso legale in Europa che comprenderebbero: persone in fuga da conflitti armati, vittime di persecuzioni o tortura, famiglie con bambini, anziani, persone malate, ferite o diversamente abili, vittime di tratta o di incidenti avvenuti in mare o sulla terraferma;

-un sistema così articolato eviterebbe il sovraccarico cui sono sottoposti attualmente gli uffici competenti per valutare le richieste di asilo e, pur tutelando i diritti delle persone interessate, garantisce la piena sicurezza degli Stati Membri dell’UE che potrebbero valutare in anticipo i candidati alla concessione dell’asilo politico;

-lo schema così definito colmerebbe l’attuale lacuna nella politica di asilo europea e preparerebbe il terreno per l’attuazione di una politica di ricollocamento credibile ampiamente invocata dalla Commissione Europea negli ultimi 10 anni. Sia da parte nostra, in qualità di operatori umanitari impegnati nel soccorso in mare, sia da parte delle istituzioni europee c’è una chiara consapevolezza che i controlli alle frontiere non fungono da deterrente per i flussi migratori.

Il programma di visti umanitari proposto da MOAS segue di fatto l’iniziativa intrapresa dal Ministero degli Esteri e dal Ministero degli Interni italiani di concerto con la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese Evangeliche e la Tavola Valdese. Questa iniziativa ha consentito nel corso di due anni il ricollocamento sul suolo italiano di 1000 migranti provenienti da Libano, Marocco e Etiopia.

Ci sono dati che parlano chiaro e che non possono essere ignorati. L’UNHCR in un rapporto del giugno 2016 fa un quadro preciso: a fine 2015 nel mondo si contavano 65.3 milioni di sfollati, superando così per la prima volta la soglia dei 60 milioni. Tradotto in pratica vuol dire che 1 persona su 113 è sfollata e questa cifra cresce di 24 persone al minuto. Ma il dato ancora più allarmante è che il 51% dei rifugiati a livello mondiale è costituito da bambini, molti dei quali hanno perso le famiglie o sono stati separati da esse e a cui viene negato il diritto stesso all’infanzia.

Alla luce dei dati attuali sulle continue morti in mare, alla luce delle vastissime proporzioni della crisi umanitaria in corso e della necessità di tempo prima di poterla risolvere a monte, dobbiamo impegnarci a smantellare il traffico di essere umani che cercano protezione in fuga da situazioni di guerra e estrema violenza attivando un sistema di visti e corridoi umanitari. E dobbiamo farlo ora.

Qui potete vedere le foto e il video realizzati per raccontare l’operato di MOAS

Qui trovate il documento finale stilato a conclusione del seminario e il link alla pagina dell’evento