Immaginate di vivere in un villaggio preso di mira da uomini armati che d’improvviso arrivano per distruggerne gli abitanti. Immaginate che i vostri figli non possano andare a scuola perché il semplice tragitto per raggiungerla ne mette in pericolo l’incolumità.

Immaginate di affrontare un viaggio mortale con l’unico pensiero di voler mettere in salvo le persone che più amate, con l’unica speranza di trovare pace. Immaginate di percorrere chilometri a piedi o di salire su una imbarcazione insicura, semplicemente perché sperate di raggiungere un luogo sicuro visto che la vostra casa è stata brutalmente distrutta.

Immaginate di vivere in un campo sovraffollato dove tutto è difficile: reperire acqua potabile, sfamare la vostra famiglia, vaccinare i vostri bambini affinché non contraggano malattie che possano debilitare ulteriormente la loro salute.

Immaginate di vivere costantemente nella paura che qualcuno faccia scomparire i vostri figli o che in un attimo di distrazione vostra figlia subisca un abuso.

Immaginate di essere voi stesse vittime di un abuso e che da quella violenza nasca una nuova vita che decidete di tenere perché quella creatura non ha nessuna colpa, perché i bambini sono puri e non hanno colpa se nascono in un mondo poco accogliente e poco rispettoso della vita.

Purtroppo, per troppe madri la quotidianità significa anche questo: vivere costantemente nella paura di perdere i propri figli.

Una donna Rohingya aspetta col figlio di ricevere assistenza  Rohingya mother with her son waiting to receive medical assistance at one of our MOAS’ Aid Stations in Bangladesh

Il mio augurio per questa festa della mamma è che si riesca a comprendere quanto difficile possa essere la maternità per una donna che ha perso tutto, che ha visto morire il marito e deve assumersi la responsabilità dei propri figli da sola in condizioni avverse.

A bordo della Phoenix nel Mediterraneo o nell’Egeo, sulla terraferma nelle due Aid Station a Shamlapur e Unchiprang in Bangladesh ho potuto conoscere e toccare con mano il coraggio di chi non si arrende perché sa di non poterlo fare.

Il mio pensiero va a ogni madre che ha dovuto nascondere la propria disperazione per trasformarsi in una costante fonte di speranza, che ha dovuto rinnovare ogni giorno la determinazione a proteggere la propria famiglia da violenze e avversità indicibili e che ha rinunciato alla propria debolezza perché la vita le ha imposto di trovare la forza di oltrepassare qualsiasi ostacolo.

Ma va anche a tutte le madri che, pur non avendo vissuto situazioni estreme, riescono a comprendere il dolore e il coraggio necessari per costruire una famiglia e proteggerla da ogni avversità.

Per questo ringrazio anche la grande famiglia MOAS, il suo team fino e i nostri sostenitori e donatori che col loro incondizionato supporto ci aiutano ad aiutare chiunque ne abbia bisogno. È grazie a loro se ogni giorno tante madri possono essere curate, possono affrontare la gravidanza, il parto e il post-parto in modo umano e dignitoso e sicuro. È grazie a loro se i figli e le figlie di queste madri trovano un luogo accogliente dove ci si prende cura della loro salute, dove possano essere accolti umanamente e ricevere l’attenzione che necessitano.

Quest’anno, più che mai, serve il sostegno di chiunque creda nella causa portata avanti da MOAS che dalla sua prima missione nel 2014 si impegna a mitigare la sofferenza delle comunità di migranti e rifugiati di tutto il mondo. Adesso lo stiamo facendo in Bangladesh per portare assistenza medico-sanitaria e mantenere accesa la speranza nel cuore della martoriata comunità di Rohingya insediatasi nel paese in fuga da violenze e persecuzioni.