Londra, 3 Novembre 2016

L’evento organizzato da WIRED UK ha rappresentato un’occasione di rilievo per presentare nuovamente le attività e le iniziative di MOAS. MOAS è un’organizzazione di ricerca e salvataggio creata al fine di ridurre le morti in mare e utilizza l’empatia come linguaggio universale.

Le persone che attraversano il Mediterraneo e che noi incontriamo hanno sempre un passato difficile e il bilancio della violenza subìto è spesso intollerabile.

Inoltre, prima di tentare la traversata, sono consapevoli che altri sono morti durante quello stesso viaggio. Eppure non possono fare altro che provarci. Ci proveranno. Arriveranno in Europa o moriranno nel tentativo di farlo.
Purtroppo è questa la realtà quotidiana della catastrofe umanitaria che si verifica davanti ai nostri occhi.

Ogni giorno le persone muoiono alle porte dell’Europa.

Mio marito Christopher ed io ci siamo scontrati con questa triste realtà nell’estate 2013.

Ci trovavamo nel Mediterraneo in vacanza e inconsapevolmente stavamo navigando sulla rotta migratoria più letale al mondo.

Come cittadini, avevamo la responsabilità etica e morale di interessarci alla questione. Come imprenditori, potevamo fare qualcosa di concreto.

Sapevamo di non avere “la soluzione” a portata di mano.

Quello che avevamo era l’esperienza in quanto imprenditori. Grazie alla nostra azienda Tangiers Group, attiva a livello mondiale nel settore delle assicurazioni, dell’assistenza in situazioni di emergenza, della gestione degli infortuni avevamo le competente, le risorse e la volontà di salvare vite.

Siamo diventati una sorta di ambulanza del mare. Abbiamo assunto un equipaggio di professionisti competenti nel settore di ricerca e salvataggio, nonché delle cure post-soccorso.

Uno dei nostri obiettivi consisteva nello spostare l’attenzione dei media e delle organizzazioni umanitarie dalla terra al mare, appellandoci alla società civile. E ce l’abbiamo fatta!

Osserviamo con orgoglio quante nuove organizzazioni umanitaria sia adesso impegnate in mare per soccorrere le persone e salvare vite umane sulla scia della nostra iniziativa.

Nel Gennaio 2015, dopo aver terminato i fondi disponibili, temevamo di non poter ritornare in mare e abbiamo lanciato delle iniziative di raccolta fondi. La società civile in generale hanno risposto positivamente alla nostra richiesta di aiuto: abbiamo ricevuto fondi da ogni parte del mondo. Oggi, grazie ai nostri donatori a livello mondiale, MOAS è diventata una organizzazione internazionale.

Dallo scorso Gennaio siamo anche riusciti ad avere una seconda nave: la Responder, una imbarcazione di 50 metri.

Nel giorno in cui si teneva l’evento WIRED -il 3 Novembre- avevamo appena terminato delle missioni di salvataggio multiple portando in salvo centinaia di persone fra cui un bimbo di soli 4 giorni. Durante il mio intervento ero molto emozionata: il mio corpo si trovava su quel palco a Londra, ma il mio cuore era con il nostro equipaggio nel Mediterraneo.

Insieme alla mia famiglia ho preso parte a molte missioni durante le ultime 3 stagioni migratorie e continuato a lavorare nella nostra azienda, dimostrando così che si può essere degli imprenditori e gestire una ONG.

Le persone sono creature viventi. Non sono libri, né fogli di carta impilabili in una stanza. Le persone richiedono amore e attenzione.

In quell’occasione ho voluto condividere col pubblico la storia di Sadik.

Sadik ha 17 anni, viene dall’Eritrea e appartiene agli Oromo, la più grande minoranza etnica da anni brutalmente perseguitata dal governo etiope.

Quando abbiamo ritrovato Sadik si trovava in mare e ci ha detto che da mesi aveva perso i contatti con la sua famiglia. Sulla schiena portava ancora i segni delle ferite recenti. Nei suoi occhi, che ricordo ancora, tutto l’orrore che aveva vissuto.

Non sappiamo cosa sarebbe successo se non avessimo trovato la sua imbarcazione con a bordo altre 150 persone…

Sadik avrebbe cercato di salvarsi a prescindere dal fatto che una nave l’avrebbe salvato, a prescindere dalla costruzione di un muro di filo spinato per fermarlo ad una frontiera.

La storia ci insegna che costruire muri o mettere delle distanze riponendo ogni responsabilità solo nelle mani dei politici e di pochi paesi non ci aiuterà a trovare una soluzione.

Tuttavia possiamo ripristinare la nostra umanità, i nostri valori universali di solidarietà e la nostra creatività aiutando le persone come Sadik a integrarsi nella nostra società apportando il loro contributo personale.

Non possiamo più restare a guardare. Non possiamo voltare la testa e far finta che questa crisi umanitaria non ci riguardi. Ci riguarda tutti e MOAS è la prova che tutti possono fare qualcosa per diminuire le morti in mare.