Lo scorso dicembre Papa Francesco durante la sua visita apostolica in sud-est asiatico ha lanciato un fortissimo messaggio di preoccupazione per le violenze ai danni della minoranza musulmana e apolide dei Rohingya che dal 25 agosto è fuggita in massa verso il Bangladesh. Per essere ancora più incisivo ha deciso poi di incontrare alcuni Rohingya sopravvissuti all’ultima ondata di persecuzioni e a nome di tutta la comunità internazionale ha chiesto scusa per ciò che hanno dovuto ingiustamente patire.
Una delle donne presenti all’incontro, di cui non sveliamo l’identità per proteggerne la privacy, è divenuta nostra paziente e siamo felici di averla potuta aiutare in due occasioni. La prima volta siamo andati a trovarla nell’insediamento di Balukhali, mentre proprio in questi giorni è venuta a farsi visitare nella nostra MOAS Aid Station di Unchiprang dove ha ricevuto tutte le terapie necessarie per curare le ferite fisiche riportate e il sostegno psicologico per superare i traumi subiti. La donna è arrivata con la sua famiglia ed è stata accolta dal nostro team medico che le ha garantito assistenza medica per lenire le conseguenze della violenza fisica subita prima della fuga in Bangladesh.
La donna, infatti, è stata una delle innumerevoli vittime di stupro da parte dell’esercito birmano che, benché accusato di aver commesso le violenze in modo sistematico e calcolato come parte stessa della repressione punitiva ai danni dei Rohingya, ha respinto ogni accusa. Allo stesso modo, ha negato di aver commesso omicidi (ad eccezione di un caso che riguarda l’uccisione di 10 persone) e altre brutalità, incolpando le milizie Rohingya delle violenze e presentando le misure come difesa contro i terroristi.
Tuttavia, le testimonianze di chi è sopravvissuto e delle tante organizzazioni internazionali sul campo descrivono la realtà in maniera diversa. Stando ai racconti, la violenza è pianificata per creare il maggior danno possibile, perdendo ogni umanità. Nelle nostre MOAS Aid Station abbiamo ascoltato storie di donne coraggiose che hanno avuto la forza per raccontare il terrore vissuto, abbiamo curato ragazze sopravvissute per miracolo a incendi appiccati di proposito e fornito assistenza a intere famiglie che hanno condiviso con noi l’orrore del loro viaggio disperato.
Purtroppo, come già ribadito in molte occasioni, le principali vittime dei conflitti sono i più vulnerabili: donne, bambini e anziani. Proprio le donne diventano i bersagli privilegiati di stupri, rapimenti, sequestri, sfruttamento sessuale e tratta di esseri umani. Il loro corpo diventa un campo di battaglia e lo stupro l’arma di una guerra sporca a danno di chi merita protezione. Fra l’altro, proprio a causa della terribile natura della violenza sessuale, molto spesso le donne sono vittime più volte: durante la violenza e dopo quando per vergogna non raccontano nulla o vengono ostracizzate dalla propria comunità o ripudiate dal marito. Senza contare che da molte violenze scaturiscono gravidanze indesiderate: non solo subiscono una atroce violenza, ma ne pagano le conseguenze in termini di emarginazione invece di ricevere cure e supporto.
Questa donna, venuta a farsi visitare nuovamente alla MOAS Aid Station, infatti, ci ha ringraziati soprattutto per il calore umano che le abbiamo dato, oltre alle medicine che servono alla guarigione fisica. Per fortuna con lei c’era la sua famiglia, ma guardando la figlia più piccola mi sono chiesta quanto orrore abbiano visto i suoi occhi e quanto di esso rimarrà per sempre impresso nella memoria.
Come donna e come madre, sento il dovere di ribadire nuovamente la necessità di costruire una pace duratura e di impegnarci tutti a sostenere chi soffre: se i nostri medici non fossero stati lì per accogliere e visitare questa donna Rohingya vittima di stupro, probabilmente non avrebbe ricevuto nessuna assistenza medica e il dolore fisico avrebbe ulteriormente amplificato il trauma emotivo. Anche per questo sono felice di essere stata al fianco del nostro staff medico che incessantemente fa di tutto per aiutare chi ne ha bisogno.