Il mese scorso un giovane ingegnere della città di Patna, più grande centro abitato della regione di Bihar in India, è stato rapito e costretto con la forza e una pistola alla tempia a sposare una donna che non aveva mai visto prima. Il giovane dopo le nozze ha rifiutato di riconoscere quella donna come propria moglie e, dopo essere fuggito, ha denunciato l’accaduto. Il fenomeno dei matrimoni forzati dopo il rapimento del promesso sposo -detto Pakadua vivah– è in allarmante crescita negli ultimi anni. Pur essendo conosciuto soprattutto nella regione di Bihar, due sono i fattori che preoccupano in modo particolare: la violenza usata nei confronti dei giovani considerati un buon partito che spesso vengono rapiti da criminali professionisti e la portata del fenomeno in netta crescita. Dal 2014 al 2017 si sarebbero registrati almeno mille casi in più con un totale di circa 3400 giovani che l’anno scorso sono stati rapiti e costretti a sposarsi con minacce e ritorsioni anche nei confronti delle proprie famiglie. L’obiettivo principale di questa pratica è quello di evitare i gravosissimi costi della dote che da sempre affliggono le famiglie indiane e sono costati la vita a un numero imprecisato di bambine che vengono uccise o addirittura abortite selettivamente una volta conosciuto il sesso della nascitura.

Tuttavia, come riportato dalla notizia di questi rapimenti, né il matrimonio forzato né il problema della dote si circoscrivono all’universo femminile, ma anzi riguardano anche gli uomini che diventano parte di un meccanismo che, invece di valorizzare l’amore fra due persone, innesca un circolo di violenza che non giova a nessuno. Sono molte infatti le donne che vengono uccise anche dopo il matrimonio a causa della dote giudicata insufficiente o perché un’altra donna ne promette una più consistente.

Ma dov’è l’amore in tutto ciò?

Quando leggo queste notizie, con tutte le differenze del caso, mi torna in mente la mia adolescenza e la premura della mia famiglia per realizzare il corredo che mi sarebbe servito in occasione del matrimonio. Ricordo che avevo circa 12 anni la prima volta che andammo a scegliere costose lenzuola e altri capi giudicati indispensabili, ma che di fatto non ho mai usato o usato poco perché da moglie e madre lavoratrice si finisce per scegliere qualcosa di più pratico. Ricordo che a quell’età non capivo bene il senso del corredo e che ancora oggi mi rendo conto che la migliore dote da lasciare alle nostre figlie e ai nostri figli è sempre l’istruzione e la possibilità di viaggiare che si traducono in conoscenza e facoltà di essere liberi. Inoltre, puntando a una dote materiale, da un lato si rinforzano gli stereotipi sulle donne troppo spesso relegate al solo ruolo di moglie e madre atta a procreare e dall’altro non si incentivano abbastanza altri ruoli lavorativi che la donna può ricoprire.

Entrando nei tanti rifugi dei Rohingya sopravvissuti alle violenze dalla fine dello scorso agosto, è evidente che la fuga costringe chiunque a scegliere l’essenziale tanto che a volte si parte con i soli vestiti che si hanno addosso: nessuno spazio per un corredo materiale, nessuna possibilità di trascinarsi dietro pezzi materiali della propria vita precedente. Dentro quei ripari spogli e realizzati in tutta fretta, si capisce che davvero l’amore è il collante essenziale che tiene unite queste famiglie così provate e così vulnerabili: non hanno quasi nulla di costoso con sé, ma custodiscono il prezioso legame che li sostiene anche nei momenti più difficili.

Quando fuggi, conta solo la tua vita, la tua salute, la tua salvezza; ogni altra cosa materiale è superflua. La dote migliore è dentro di noi, nel nostro cuore e nella nostra mente.

 

Una bambina Rohingya aspetta di ricevere assistenza medica alla MOAS Aid Station di Shamlapur, Bangladesh

Febbraio è considerato il mese dell’amore, soprattutto di coppia, ma come ho ricordato nel mio appello per un amore universale nel giorno di San Valentino, dobbiamo impegnarci a costruire un mondo più solidale e misericordioso oltrepassando la dimensione privata e puntando su ciò che può migliorare davvero la nostra società condivisa. L’istruzione, la conoscenza e l’abbandono di pratiche dannose come quella della dote che favorisce gli interessi economici al posto dei legami interpersonali sono alcune delle azioni che potremmo intraprendere da subito per costruire il corredo interiore delle future generazioni.

Il corredo migliore che io e mio marito desideriamo lasciare a nostra figlia è la possibilità di una istruzione di qualità e la libertà di scegliere il suo cammino con consapevolezza e misericordia, volgendo lo sguardo e il cuore verso tutti i suoi fratelli e sorelle che vivono in condizioni meno fortunate di lei.

 

Chi educa un bambino educa un uomo.

Chi educa una bambina educa un popolo.

Proverbio africano