Pochi giorni fa, i cieli di Malta si sono illuminati con uno spettacolo di luce e unità. Il festival annuale dei fuochi d’artificio ha incantato con una straordinaria esibizione di colori e coreografie, e per la prima volta l’isola ha accolto uno spettacolo mozzafiato di pyrodrones: la tecnologia che danza in armonia, accendendo nei cuori degli spettatori sogni di pace e serenità. È stato il simbolo di ciò che l’ingegno umano può realizzare quando è guidato dalla bellezza e dalla speranza.

Eppure, nel giro di poche ore, quella stessa tecnologia è diventata simbolo di devastazione e paura. La notizia si è diffusa rapidamente: la nave Conscience, un’imbarcazione umanitaria diretta verso la popolazione assediata di Gaza, è stata attaccata da due droni nei pressi delle acque maltesi. Il Ministro degli Affari Esteri di Malta, Ian Borg, ha confermato che l’equipaggio è stato evacuato in sicurezza e che la nave si trova ancora fuori dalle acque territoriali. Ha condannato fermamente l’aggressione, sottolineando come tali atti mettano a rischio non solo vite umane, ma anche il tessuto morale che lega la comunità internazionale.

Come persona che ha trascorso anni in mare nelle operazioni di ricerca e salvataggio, e come prima civile ad aver utilizzato droni per missioni umanitarie e di soccorso nel Mediterraneo, sono profondamente turbata. Ho visto con i miei occhi il potere di queste piccole macchine, capaci di estendere lo sguardo e il tocco dell’umanità: localizzare imbarcazioni in difficoltà, guidare le squadre di soccorso, salvare vite. Ma quando i droni vengono trasformati in armi di guerra, diventano strumenti di terrore. Ciò che è accaduto vicino a Malta non è stato solo un attacco a una nave, ma un attacco alla dignità umana.

Anche se l’equipaggio ora è al sicuro, le implicazioni restano gravissime. Un’imbarcazione colma di cibo, forniture mediche e buona volontà è stata deliberatamente colpita mentre era in missione di misericordia. Un simile gesto non è altro che un crimine di guerra: un’aggressione non solo contro il popolo di Gaza, ma contro chiunque creda nei principi umanitari. È un atto di guerra contro l’umanità stessa.

In momenti come questo dobbiamo chiederci: dove sono le responsabilità? Chi si leverà a difesa del diritto internazionale, dei diritti dei civili, e della sacralità dei corridoi umanitari? Il silenzio non può essere la nostra risposta. Questo è il tempo della chiarezza morale.

Il contrasto non potrebbe essere più netto: un giorno celebriamo la possibilità della pace attraverso la bellezza e la tecnologia; il giorno dopo assistiamo alla sua corruzione in distruzione e paura. Come nazione fiera della propria storia marittima e della propria posizione strategica nel Mediterraneo, Malta ha un ruolo speciale da svolgere. Dobbiamo agire con convinzione, non solo condannando simili attacchi, ma pretendendo responsabilità, trasparenza e, soprattutto, protezione per coloro che rischiano tutto per salvare vite e portare aiuti.

Non si tratta di una questione politica, ma umana. Come spesso ripeto, un motto che la mia famiglia ed io abbiamo abbracciato nel 2014, quando iniziammo le nostre missioni di soccorso: “Nessuno merita di morire in mare.” Oggi lo crediamo più che mai. I droni dovrebbero essere strumenti per proteggere la vita, non per porvi fine. Il loro scopo deve restare ancorato alla compassione, non alla violenza.

Ricordiamoci che la tecnologia è solo uno strumento: riflette l’intenzione di chi la controlla. I pyrodrones che hanno danzato sopra le nostre teste questa settimana ci hanno ricordato il nostro desiderio condiviso di pace. Non permettiamo che questa visione venga oscurata da atti di brutalità compiuti con gli stessi strumenti.

Mentre il Mediterraneo continua ad essere testimone di crisi – migrazioni, conflitti, degrado ambientale – Malta deve rimanere ferma nel suo impegno verso i valori umanitari. Lo dobbiamo a noi stessi, alle generazioni future, e a coloro che continuano a sognare la pace, anche sotto l’ombra della guerra.