Il 29 Maggio l’associazione Carta di Roma, insieme a Cospe e Osservatorio di Pavia, ha presentato il rapporto “Navigare a vista” come riflessione sul ruolo delle ONG attive in mare.

Il rapporto analizza il modo in cui viene raccontato il lavoro di ricerca e soccorso e si concentra proprio sulla narrazione che viene fatta dai media, sottolineando come le organizzazioni umanitarie usino un linguaggio semplice ed immediato per far conoscere le storie delle persone salvate.

Fin dalla prima missione nel 2014 ci siamo preparati al meglio contando su uno staff altamente specializzato che garantisse i migliori standard operativi sia durante la fase dei salvataggi in mare che dopo nel momento del post-soccorso.

Ma, oltre l’aspetto tecnico e la collaborazione con tutte le entità coinvolte in mare e a terra, MOAS ha puntato da subito sulla restituzione della dignità negata a queste persone.

Non migranti, non rifugiati, non migranti economici e tanto meno clandestini.

Semplicemente persone.

E quindi abbiamo coltivato una dimensione profondamente umana: abbiamo parlato  con loro e ne abbiamo ascoltato le storie. E non lo abbiamo fatto per semplici motivi statistici o demografici -che pure ci aiutano a comprendere meglio le migrazioni attuali. Lo abbiamo fatto per la curiosità di conoscere l’altro: lo abbiamo fatto perché in ogni donna o uomo in fuga rivediamo noi stessi, perché nei loro figli vediamo i nostri stessi figli.

“Il racconto del soccorso in mare ha la potenza espressiva per umanizzare il fenomeno delle migrazioni”*

Abbiamo raccontato sui social le storie di minori non accompagnati, di famiglie siriane quasi naufragate nell’Egeo, di uomini e donne alla ricerca di un futuro di pace e di chi non ce l’ha fatta. Abbiamo fatto tutto il possibile per far emergere le persone al di là dei numeri, per far affiorare i volti dalla massa indistinta che intimorisce guardata da uno schermo televisivo.

Il ruolo della narrazione è fondamentale perché con le parole costruiamo dei ponti che ci legano agli altri.

La narrazione è cruciale per sviluppare l’empatia necessaria a creare un sentimento di identificazione e fratellanza che permette di andare oltre la paura del “migrante” e riconoscerlo per ciò che semplicemente è: un essere umano come noi.

Il potenziamento del salvataggio in mare era stato chiesto a gran voce dopo il terribile naufragio dell’Ottobre 2013 sia dall’allora Ministro degli Interni, sia dal Papa. Quelle morti sembravano tanto più oltraggiose quanto più avrebbero potuto essere evitate. Eravamo ancora lontani dalle assurde accuse di collusioni con trafficanti e scafisti tramite una sorta di servizio taxi per assistere barconi stracarichi e in difficoltà. Soprattutto ancora nessuno avrebbe osato parlare di morti in mare come deterrenti alle partenze dalle coste libiche sulla base dell’idea che i barconi partano perché le ONG operano in mare per andarli a prendere.

Purtroppo, recentemente grazie a un politica spregiudicata che fa campagna elettorale sulla pelle della gente, il dibattito si è inasprito e anche il salvataggio in mare -prima al riparo da illazioni e sospetti- è sotto accusa e si cerca di criminalizzare la solidarietà.

“In questa sovrabbondanza comunicativa, un elemento emerge su tutti: il sospetto. Il sospetto calato sull’azione degli operatori soprattutto quelli delle Ong avvolge tutta la sfera del soccorso in mare”*

Notizie false, dichiarazioni, presunte prove di legami con trafficanti, domande poste solo per screditare o infangare chi si adopera per salvare vite umane.

E ora cosa rimane di quelle illazioni? Cosa rimane della valanga di fake news che hanno dominato i media per mesi?

Resta il clima di terrore e sospetto che sta avvelenando tutto, spegnendo ogni barlume di misericordia, empatia, solidarietà. Resta l’incapacità di accettare il buono e fidarsi degli altri: tutto va messo sotto accusa, tutto sembra regolato da assurde dietrologie che non hanno bisogno di essere provate e documentate. Basta spargere il germe del sospetto per far sì che contagi tutto, sporcando qualunque cosa ci sia di buono intorno a noi e attivando la macchina del fango.

Ma se non siamo più capaci di riconoscere, apprezzare e valorizzare il bene e la solidarietà, cos’altro ci resta oltre il sospetto e le polemiche infondate?

*Entrambe le citazioni sono state estrapolate dal report.

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On May 29th in Italy a report was issued by Cospe, Carta di Roma and Osservatorio di Pisa to discuss the role of NGOs operating at sea.

This report focuses on the way SAR activities are described by media and stresses that humanitarian organisations use a simple and direct language to spread the stories of those rescued at sea.

Since our first mission in 2014, we have aimed to conduct the most effective and professional operations possible, enrolling highly-qualified crews to meet the highest requirements both during rescue operations at sea and in providing post-rescue care.

But, apart from technical details and our cooperation with all entities at sea and on land, since our inception MOAS has focused on giving dignity back to people we rescue, after it had been denied to them for too long.

They are not migrants, nor refugees, nor economic or illegal migrants.

They are just people.

We have paid attention to a deeply human dimension: we have talked with them and listened to their stories. And we haven’t done so just for statistics or demographics, which are nevertheless so important in understanding current migration.

We have done so because we were curious and willing to know them. We have done so because in every woman or man fleeing their homeland we see ourselves; because in their children, we see our own children.

“The way rescue at sea is described is fundamental to giving a human face to current migration”

Through social media we have told stories about unaccompanied minors, Syrian families who were almost drowned in the Aegean Sea, men and women looking for peace, and those who haven’t made it to Europe. We have done all we could to focus on the people beyond the figures, to restore people’s identity amid depictions of a chaotic mass, frightening to those who watch these scenes on a TV screen.

Storytelling is crucial because through words we build bridges connecting us to other people. Storytelling is fundamental to developing empathy as well as a feeling of brotherhood, which allows us to move beyond the fear of “migrants”. In the end, migrants are seen for what they really are: human being like all of us.

After the horrendous shipwreck in October 2013, both the former Minister of the Interior and the Pope called upon the strengthening of SAR activities at sea. Those casualties appeared even more horrific as they could have been avoided.

At that time, accusations of collusion with traffickers and smugglers, acting as a sort of taxi to assist overcrowded vessels in distress, were still inconceivable. Moreover, nobody would have dared to talk about casualties at sea as deterrent to departures from Libyan shores, saying that people leave because NGOs are out at sea to rescue them.

Unfortunately, due to unscrupulous politicians exploiting people’s fears, the current debate has moved beyond facts, and rescue activities at sea are now vilified, together with solidarity, which is presented as a crime.

“Amid the huge amount of information something clearly arises: suspicion. Suspicion of those who save lives at sea, namely NGOs, involved in all SAR activities”*

We have seen fake news, statements, alleged evidence proving connections with traffickers, questions asked only to discredit those committed to saving human lives.

But now what remains of those speculations? What’s left of that fake news, which has been in the media spotlight for months?

What is left is a widespread suspicion, poisoning everything and killing mercy, empathy and solidarity, and the inability to accept what’s good around us and trust others. Everything is under accusation, everything seems to have a dark side even if there is no evidence to prove it. It is enough to arouse suspicion and it will continue to spread.

But if we are no longer able to acknowledge, appreciate and value solidarity and that which is good, what is left beyond groundless suspicion and attacks?

*Both quotes come from the Italian report