2 luglio 2023. Ala musulmana del cimitero del Mont-Valérien, Parigi. La comunità algerina, familiari e amici danno l’ultimo saluto a Nahel Merzouk. Quello del giovane diciassettenne è l’ennesimo nome da aggiungere alla lista delle persone di origine non europea o occidentale uccise brutalmente dalle forze dell’ordine senza un valido motivo. La storia si ripete, tra i riflettori della stampa e delle proteste, come nel caso di George Floyd, l’uomo afroamericano che perse la vita a Minneapolis, negli Stati Uniti, dopo quasi 9 infiniti minuti di agonia, soffocato dalla pressione esercitata sul collo dal ginocchio di un agente di polizia, o nel silenzio e nell’indifferenza, come per Alhoussein Camara, il diciannovenne ucciso qualche settimana prima in Francia per non essersi fermato all’alt.
Nahel, George, Alhoussein, probabilmente sarebbero stati trattati diversamente se avessero avuto la pelle bianca. Non è accettabile che a un posto di blocco la differenza tra la vita e la morte la faccia la provenienza, l’etnia, la nazionalità o il colore della pelle.
La rabbia porta rabbia, la violenza genera violenza, l’odio si moltiplica. Dopo la diffusione delle testimonianze video, che sembrano evidenziare come non ci fosse alcuna circostanza di pericolo o di incolumità per se stesso e per terzi che avrebbe costretto l’agente di polizia a sparare, la rabbia delle periferie si è riversata per strada nelle maggiori città francesi, fino a giungere anche a Bruxelles e a Losanna, in Svizzera.
Un’ondata di attacchi, fatta di violenze, fiamme, saccheggi, devastazioni, scontri, feriti, vittime, che si riaccende con l’uccisione di un “fratello” delle banlieue ma che è sintomo di un problema che affonda le proprie radici in qualcosa di più profondo, di un malessere che interessa tutti quei quartieri dove vivono principalmente persone che provengono da un’esperienza migratoria o seconde e terze generazioni, nate e cresciute in contesti di degrado, di miseria, di mancate opportunità di inclusione e di miglioramento. Una situazione troppo spesso ignorata dalla società e dalla politica che, se da una parte fa polemica per la mancata integrazione, dall’altra parte ignora i bisogni e le necessità di chi si trova a vivere in queste situazioni senza adottare misure mirate a ridurre la condizione di disparità sociale.
La segregazione che in questi anni ha caratterizzato le periferie francesi, sempre più chiuse su se stesse, e la diffusione nel linguaggio politico e sociale del timore dell’invasione dello straniero, di colui il quale predica un’altra religione o appartiene a una diversa etnia, hanno scavato un baratro di indifferenza, di discriminazione e di intolleranza che ha acuito i rapporti conflittuali tra le diverse identità.
E così, dopo anni di lotte per l’inclusione, per un modello sostenibile di società pluralista che potesse garantire stessi diritti e stesse opportunità a tutti a prescindere dal livello di partenza, ci ritroviamo in una società sempre più divisa, dove le reciproche istanze sono ignorate e dove una certa politica crea pericolosi “noi” e “loro”.
Il rischio è che una volta placate le proteste di questi giorni tutto possa silenziosamente ritornare nell’oblio generale, nel silenzio di periferie che diventano sempre più periferiche, di rappresentazioni sociali e politiche che istigano all’odio e alla chiusura all’interno del proprio orticello, e di morti innocenti uccisi a un posto di blocco.