Sono appena rientrata dopo essere stata a bordo della Phoenix dallo scorso 12 Aprile per partecipare alle operazioni SAR intraprese dal nostro team. Nonostante sia ormai la nostra quarta missione nel Mediterraneo Centrale dalla fondazione di MOAS nel 2014 e abbia già partecipato a diversi imbarchi e salvataggi, quello di cui sono stata testimone durante il weekend di Pasqua è una esperienza assolutamente senza precedenti anche per i più esperti in materia di migrazioni.

Dal primo salvataggio il 14 fino allo sbarco il 19 Aprile gli eventi si sono susseguiti ad una velocità inaspettata con il picco delle operazioni proprio fra sabato 15 e domenica 16. L’intero equipaggio MOAS ha lavorato strenuamente per oltre 24 ore al fine di salvare quante più vite umane e di non lasciare nessuno senza assistenza nel limite delle capacità disponibili. Ma se si è potuta evitare l’ennesima tragedia di massa in mare, lo dobbiamo anche allo spirito di collaborazione e al lavoro di squadra con altre due ONG come noi impegnate a pattugliare il Mediterraneo in cerca di imbarcazioni in difficoltà: Jugend Rettet con la nave Iuventa e Sea Eye. Oltre alle navi delle ONG, un ringraziamento va anche alla Guarda Costiera che ci ha assistito coordinando altre navi che si trovavano nelle vicinanze.

Impegnati in salvataggi multipli, tutti i membri dell’equipaggio MOAS hanno assistito fra le 1500 e le 1800 persone ammassate su 7 gommoni (in pessime condizioni al nostro arrivo) e 2 imbarcazioni in legno di cui 499 sono state portate a bordo della Phoenix con precedenza assoluta per donne con bambini, 15 donne incinte anche al nono mese, casi medici urgenti che richiedevano cure immediate fra cui un bambino di circa 11 anni con una paralisi che viaggiava col padre. Una volta raggiunta la capacità massima di accoglienza a bordo, la Phoenix non poteva più ospitare altre persone, ma non ha rinunciato alla sua missione di salvare vite.

Il SAR team è stato impegnato a stabilizzare le condizioni delle imbarcazioni che ancora ci circondavano al calar della notte, distribuendo i giubbotti salvagente e le razioni alimentari d’emergenza, monitorando che la situazione rimanesse stabile e aspettando le altre navi secondo gli ordini della Guardia Costiera. Con grande gioia tutte le persone da noi assistite direttamente o indirettamente si sono salvate.

Tuttavia, nel caso di una operazione di salvataggio collaterale in coordinamento con altre navi, abbiamo recuperato i corpi di 7 fratelli e sorelle che, come ha ben detto mio marito Christopher, “non sapranno mai cosa significhi la libertà”. Oltre ai corpi di 4 uomini e 2 donne c’era anche un bambino di circa 8 anni di cui non sappiamo nulla se non che, dentro il sacco mortuario, abbiamo chiuso anche la nostra moralità impotente di fronte alla sua ingiusta morte.

Nonostante la gioia per tutto quello che siamo riusciti a fare, è enorme il dolore e il senso di sconfitta nel chiudere quel piccolo corpo dentro un anonimo sacco che è poi stato sbarcato nel porto di Augusta il 19 Aprile 2017 per trovare sepoltura insieme agli altri 6 corpi nel cimitero di Siracusa.

Morte e vita si sono sfiorate e confrontate proprio nel weekend di Pasqua, giornate di resurrezione.

Così è stato anche per noi: da un lato il dolore per quei corpi senza vita e la frustrazione per non aver salvato tutti, dall’altro la gioia nel sentire i pianti dei bambini finalmente salvi a bordo che con la loro voce ci riportavano alle materiali esigenze della vita stessa. E quindi il tempo scorreva a distribuire coperte, ad asciugare chi era caduto in mare, a distribuire cibo ed acqua e i biberon per i molti bambini a bordo. Sono state somministrate cure urgenti ai più bisognosi e abbiamo assistito le tante madri mentre cambiavano e rifocillavano i propri figli.

Ogni bambino che perde la vita in mare o altrove è una morte di troppo di cui siamo tutti responsabili. Le lacrime di ogni madre che piange il proprio figlio appartengono ai nostri occhi. La disperazione di un padre che non ha come coprire o riscaldare la propria figlia deve essere la nostra disperazione. Potranno esserci centinaia di motivi a renderci diversi e separarci, ma c’è un unico grande motivo che rinnova la nostra fratellanza: siamo esseri umani.

Proprio questa umanità e fratellanza universale insieme al miracolo della Resurrezione sono state ricordate e celebrate durante la messa a bordo della Phoenix nel giorno di Pasquetta officiata da Padre Regamy della diocesi di Colonia. Padre Regamy è stato un prezioso conforto per tutti noi a bordo con le sue preghiere e con il suo coraggio nel non tirarsi mai indietro quando si tratta di aiutare gli altri.

Insieme a Padre Regamy, inoltre, il 19 Aprile sulla banchina del porto di Augusta abbiamo salutato le persone salvate nei giorni precedenti. Ci siamo accomiatati dai vivi, dai sopravvissuti con cui ormai avevamo creato un legame di affetto durante il tempo di permanenza a bordo, e abbiamo pregato per chi non ce l’ha fatta. Abbiamo anche accompagnato i salvati fino a dentro il centro di accoglienza temporanea al porto di Augusta, assistendo anche ad alcune procedure di identificazione e accoglienza della struttura.

E’ stato molto bello poter vedere i bambini che giocavano con le altalene, gli scivoli e altri giocattoli messi a disposizione per loro. Finalmente tutti avevano una brandina dove poter riposare i loro corpi esausti dopo il lungo viaggio. Tutto questo era reso possibile grazie alle istituzioni e alle organizzazioni umanitarie che collaboravano e amorevolmente si prendevano cura delle persone da noi salvate.

Infine, una volta terminate le procedure di sbarco e sanificazione della Phoenix, alle 19:30 siamo ripartiti dal porto di Augusta proprio mentre calava il tramonto.

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I have just returned after being on board the Phoenix since April 12th and taking part in the SAR activities carried out by our team. Even though it is our fourth season in the Central Mediterranean since MOAS’ inception in 2014 and I have participated in many rescue missions, during the Easter weekend I witnessed something unprecedented even for the those who have been dealing with migration for a long time.

© Darrin Zammit Lupi/MOAS

From the first rescue operation on April 15th till disembarkation on April 19th, events unfolded incredibly quickly, with the climax occurring between Saturday and Easter Sunday on the 16th. MOAS’ crew worked unceasingly for more than 24 hours in order to rescue as many people as possible and assist whoever in need according to their capabilities.

Yet another mass tragedy at sea was prevented thanks to a strong spirit of cooperation and team work with Jugend Rettet with its ship Iuventa and Sea Eye, two NGOs patrolling the Mediterranean Sea to spot boats in distress. Apart from the NGOs, we also have to thank the Italian Coast Guard for its assistance in coordinating other vessels sailing close to us.

During multiple rescues, MOAS’ crew assisted between 1500 and 1800 people jam-packed in 7 overcrowded dinghies (in dire conditions upon our arrival) and 2 wooden boats. Among them 499 individuals were brought to safety on the Phoenix, and highest priority was given to women and children, 15 pregnant women (one who was even 9-months pregnant), and medical emergencies in need of immediate treatments, including an 11 year old child traveling with his father and suffering from paralysis. After reaching its capacity the Phoenix could not welcome anyone else on board, but our crew did not give up their mission of saving lives.

By nightfall, MOAS’ SAR team had been busy in stabilizing all the vessels around us by distributing life-jackets and emergency food rations, while monitoring that the situation remained under control and waiting for assistance from other vessels as decided by the Italian Coast Guard. It was our great joy to see that eventually all the people assisted by MOAS, directly or not, were rescued.

Nevertheless, during a further rescue operation with other vessels, we recovered the bodies of 7 brothers and sisters who “will never know what freedom looks like”. We brought on board the bodies of 4 men, 2 women and one child -around 8- who we know nothing about. We only know that by closing his body bag, we also locked inside that bag our morality; we were unable to face such an unfair death.

Despite the happiness for our overwhelmingly positive results, we felt huge pain and defeat in closing that small body in a bag that was far too large for him. He was disembarked in Augusta on April 17 2017, and buried in a cemetery in Syracuse together with the other 6 bodies.

Life and death have been confronting each others during this Easter weekend, itself a symbol of Resurrection.

The same happened to us. On the one hand, we experienced pain for those lifeless bodies and frustration for not being able to rescue everyone; on the other, it was joyful to hear children crying after being taken on board. Their voice brought all of us back to the living and their needs. We distributed blankets and dried those who had fallen into water; we distributed food and water, as well as dozens of baby bottles for many children. We assisted those in urgent need and mothers feeding and taking care of their children.

Every child dying at sea, or somewhere else, is an unnecessary casualty and one we are all responsible for. The tears of a mother crying for her children’s death belong in our own eyes. The desperation felt by a father unable to protect or warm up his daughter should be our own desperation. There may be hundreds of reasons making us different and dividing us. But there is one main reason for us all being brothers and sisters: we are all human.

Humanity and universal brotherhood, together with the miracle of Resurrection, were at the core of the Holy Mass celebrated on the Phoenix on Easter Monday by Father Regamy from Cologne.

Father Regamy gave comfort to all of us with his prayers and the courage to be at the forefront in helping others.

With Father Regamy, on April 19 we disembarked those rescued over the previous days. We said good bye to those still alive who had become like friends after being on the Phoenix with us, and prayed for those who did not survive. We had the chance to visit the transit camp inside the harbour in Augusta, and to see first-hand some identification and welcoming procedures.

It was lovely to see children playing with swings, slides and other toys at their disposal.  Every person had a folding bed where to rest after an exhausting journey.

This was made possible thanks to the institutions and humanitarian organizations cooperating and taking care of the people that we had rescued with such love and attention.

In the end, after completing disembarkation and sanitation procedures, at 19:30 we left the harbour of Augusta, just as the sun was setting.