L’alto Rappresentante delle Nazioni Unite per il cambiamento climatico, Patricia Espinosa, ha definito “catastrofico” lo scenario dell’impatto che il cambiamento climatico potrebbe produrre nei prossimi decenni sulle persone sfollate.
Un avvertimento per il futuro dai toni forti, non diplomatici come quelli utilizzati solitamente da una personalità di spicco delle Nazioni Unite. Già oggi, pero, la migrazione causata dal cambiamento climatico sta producendo scene catastrofiche in tutto il mondo, come possono testimoniare coloro i quali che, come noi, sono impegnati a fornire aiuto e conforto alle persone le cui vite vengono travolte da questi eventi.
Le condizioni meteorologiche sempre più estreme stanno determinando sfollamenti interni in Paesi come il Bangladesh, dove MOAS opera al fianco delle Nazioni Unite e di altre ONG internazionali per fornire un supporto tecnico alle comunità colpite dalle inondazioni.
In Yemen e Somalia, dove forniamo assistenza alle famiglie più vulnerabili, il connubio tra cambiamenti climatici e conflitti sta generando effetti devastanti sulla vita delle persone, come recentemente evidenziato da Robert Mardini, direttore generale del Comitato internazionale della Croce Rossa.
Gli sfollati che assistiamo hanno già subito danni terribili causati dall’innalzamento delle acque, dagli incendi, dalla carestia e dai conflitti. Persone che sono state costrette a dover fuggire dalle loro case e dalle loro comunità dopo essere sopravvissuti a disastri ecologici provocati dall’uomo a cui tutti abbiamo contribuito.
Ecco perché il recente messaggio del Primo Ministro britannico Boris Johnson sulla migrazione e il cambiamento climatico ha allarmato molti di noi. A Roma, prima del lancio ufficiale della COP26, Johnson ha evocato immagini demonizzanti di migranti intesi come distruttori delle civiltà. Attribuendo la caduta dell’Impero Romano a una “migrazione incontrollata”, ha affermato che: “L’impero non poteva più controllare i suoi confini, la gente arrivava dall’est, dappertutto, e siamo entrati in un’epoca buia, l’Europa è entrata in un secolo buio che è durato troppo a lungo. Il punto di tutto il discorso è affermare che questo potrebbe succedere di nuovo”.
Affermare che i migranti dall’est potrebbero guidare l’Europa in un’altra era buia significa lanciare un messaggio incendiario e divisivo di cui il mondo non ha bisogno in un momento come questo in cui è di vitale importanza che i paesi agiscano insieme per affrontare il cambiamento climatico.
Le migrazioni causate da disastri e conflitti legati al cambiamento climatico coinvolgono tutte le fasce della popolazione e tutti i continenti. Numerosi studi mostrano l’impatto previsto dell’innalzamento del livello del mare anche su metropoli come Londra. Senza un’urgente azione globale ognuno di noi potrebbe diventare un migrante climatico.
Oggi, però, la maggior parte di coloro che sono costretti ad abbandonare le proprie case o ciò che ne resta sono persone economicamente svantaggiate provenienti da Paesi in via di sviluppo. La povertà e l’impossibilità di accedere in un altro Stato attraverso canali sicuri aggravano l’impatto dell’ingiustizia del cambiamento climatico mettendo in pericolo numerose vite.
In qualità di cofondatrice e direttrice del MOAS, ho assistito in prima persona alle conseguenze fatali dell’assenza di vie di ingresso legali. Nessuno dovrebbe morire in mare a causa delle politiche securitarie di uno Stato.
Nel Canale della Manica le persone continuano a morire in mare nel tentativo di raggiungere il Regno Unito, soltanto qualche giorno fa si è consumata l’ennesima tragedia con la morte di circa 30 persone, tra cui cinque donne e una bambina. Qualche giorno prima una persona eritrea sarebbe morta dopo essere stata investita da un treno mentre camminava con un gruppo lungo i binari vicino a Calais mentre un altro uomo è morto dopo essere caduto nel mare della Manica da una piccola imbarcazione che trasportava persone provenienti dalla Somalia.
È impossibile conoscere le condizioni specifiche che hanno spinto quegli individui a lasciare le loro case e i loro cari nella speranza di trovare un futuro sicuro a costo di mettere a rischio la propria vita.
Le persone migranti fuggono dalla distruzione delle proprie società, non cercano di distruggere quelle dei Paesi che offrono loro rifugio.
Questo non vuol dire che il Regno Unito non abbia il diritto di garantire la sicurezza dei propri confini. Né che gli sfollamenti legati ai cambiamenti climatici non possano avere un potenziale impatto devastante per i Paesi del mondo, soprattutto per le nazioni a basso reddito. Il rischio di migrazione forzata su larga scala è ormai reale, anche se la COP26 dovesse attuare delle importanti azioni per la riduzione delle emissioni di carbonio.
Ecco perché è ancora più importante stabilire percorsi di migrazione sicuri e legali. Attraverso tali politiche potremmo garantire maggiore sicurezza ai rifugiati climatici nel rispetto del diritto internazionale; lo stesso diritto internazionale che la controversa proposta del Regno Unito rischia di non rispettare con la creazione di un piano di asilo su due livelli basato sul modo in cui i rifugiati arrivano nel Paese.
Tutti noi non dovremmo voltare le spalle a coloro che stanno subendo le peggiori conseguenze del cambiamento climatico.
Non sarà la migrazione legata al clima che guiderà l’UE e il Regno Unito in un’altra epoca oscura, ma la mancanza di umanità e di compassione.