Fra il 25 Agosto e il 19 Dicembre sono stati registrati 655mila Rohingya appena arrivati in Bangladesh, un paese a reddito medio-basso che sta dando una notevole lezione di solidarietà al mondo intero. Fra il 2016 e il 2017 in Europa sono stati registrati quasi 527mila arrivi in totale e la soluzione politica più diffusa è stata la chiusura delle frontiere nazionali e la trasformazione della solidarietà in un crimine.

Cosa sarebbe successo se così tante persone disperate e in urgente bisogno di assistenza medica e aiuti alimentari fossero venute in Europa?

La migrazione è stata una delle principali caratteristiche della storia umana, eppure la affrontiamo ancora come un’emergenza imprevedibile senza un approccio globale che vada dallo sradicamento dei fattori scatenanti alla costruzione di una società condivisa. Con MOAS sono stata in prima linea durante due crisi umanitarie, la prima lungo la rotta del Mediterraneo e dell’Egeo, la seconda in Sud-Est asiatico. Essendo originaria del Sud-Italia, la migrazione ha sempre fatto parte della mia vita, ma dal 2013 il numero di traversate e di morti in mare è cresciuto drasticamente. Inoltre, da Lampedusa durante la sua prima visita ufficiale Papa Francesco ha messo in guardia contro la globalizzazione dell’indifferenza e un naufragio di fronte la piccola isola siciliana ha stroncato le vite di 368 persone. Con la mia famiglia abbiamo deciso di agire e così è iniziata MOAS. Fino alla fine dell’estate 2017 abbiamo salvato ed assistito oltre 40mila bambini, donne e uomini prima di concentrare mezzi e competenze in Bangladesh per alleviare la catastrofe umanitaria provocata dalle nuove violenze contro la minoranza musulmana e apolide dei Rohingya in Myanmar. Dallo scorso Settembre le nostre MOAS Aid Station hanno visitato oltre 20mila persone in urgente bisogno di assistenza medica e aiuti umanitari oltre a supportare le comunità locali che li ospitano e le cui risorse sono limitate. Sul campo la priorità principale è quella di prevenire malattie trasmissibili e a vettore idrico ed evitare che la malnutrizione si diffonda fra la popolazione del campo: la salute, infatti, è la principale preoccupazione per tutte le parti interessate.

Un uomo viene curato presso una delle nostre Aid Station da un membro dello staff medico MOAS

Tuttavia, nonostante la distanza geografica e al di là delle discrepanze, ci sono molti elementi in comune fra queste due crisi e il più rilevante è il fatto che persone vulnerabili vengano esposte a rischi mortali per mettersi in salvo. Donne e bambini compongono almeno metà della popolazione di rifugiati a livello mondiale, sebbene fra le comunità Rohingya il tasso di bambini –per lo più non accompagnati o separati dalle famiglie- possa arrivare al 60%.

In ottemperanza al Diritto Internazionale, le vittime di tortura, tratta e violenze sessuali andrebbero tutelate in modo specifico, ma sia nel Mediterraneo che in Sud-Est asiatico le persone diventano facili prede di sfruttamento sessuale e tratta di esseri umani, mentre i bambini sono vittima di lavoro forzato e prostituzione. La mancanza di vie sicure e legali per fuggire dalle violenze non impedisce che le persone oltrepassino le frontiere nazionali, ma aumenta semplicemente i rischi e fa fiorire il business dei trafficanti i quali, consapevoli che non esistono vie legali per fuggire, non hanno alcun interesse per la sicurezza delle persone, ma si concentrano solo su come aumentare i propri guadagni utilizzando mezzi non sicuri. Sia nel Mediterraneo che in Sud-Est asiatico sono state usate imbarcazioni fatiscenti dalle reti di criminali che spesso costringono le perone nelle maglie della tratta di esseri umani, della schiavitù o dello sfruttamento sessuale. Inoltre, il follow-up rimane molto carente: in Europa e Bangladesh, al di là delle differenze, è difficile andare oltre il diffuso approccio emergenziale. In Europa perché 28 Stati Membri non intendono accogliere adeguatamente chi arriva, in Bangladesh perché le risorse sono troppo scarse in relazione all’esodo di massa dei Rohingya che arrivano in un paese piccolo rispetto all’Europa.

Senza superare gli egoismi nazionali e considerare i diritti umani come la principale priorità per definire le strategie politiche, non si potrà trovare nessuna soluzione. Ignorare violazioni ed abusi, oltre alla sofferenza umana, non farà che acuire i conflitti esistenti scatenando ulteriori violenze. Così, i corridoi umanitari potranno essere il primo passo per modificare le attuali e mortali tendenze migratorie, recuperando la dignità umana e ripristinando lo stato di diritto perché solidarietà, misericordia e fratellanza non hanno frontiere.

Donne e bambini rappresentano fino al 60% della popolazione presente nei campi profughi Rohingya. Qui alcune donne e bambini ricevono assistenza dal nostro staff medico

*Una versione più breve di questo articolo è stata pubblicata dalla Thomson Reuters foundation News come Op-Ed

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